[BARNUM, L’ENGAGEMENT E IL CIRCO DELLA VITA]

Chi si occupa di marketing, ne conosce l’intramontabile regola d’oro: la pubblicità è l’anima del commercio.

Ignorare questo dogma, significa porsi fuori dal mercato, non solo economico ma anche politico e sociale.

Lo sapeva bene il mitico P. T. Barnum, padre putativo della comunicazione efficace e della propaganda moderna, capace con i suoi “effetti speciali” di far parlare di sé e del suo circo meglio di chiunque altro.

Da allora non solo la comunicazione ma soprattutto la propaganda hanno affinato le proprie strategie, e oggi grazie alla profilazione e all’intelligenza artificiale sia le aziende sia chi ha fatto di se stesso un’azienda non possono fare a meno del cosiddetto ‘engagement’, il saldo e longevo ancoraggio al proprio pubblico, al proprio mercato, che fa leva su una irrinunciabile associazione di pensiero. La forza di un brand, di un messaggio politico o anche dell’immagine di un influencer dipende quindi esclusivamente da questo ancoraggio, che misura la capacità di difesa da qualsiasi attacco di concorrenti, oppositori e odiatori, e ciò a prescindere dal ‘prodotto’ che si mette in rete, sia appunto esso commerciale, politico o sociale, e dalla effettiva qualità dello stesso.

«Nel bene e nel male purchè se ne parli», insomma, tanto per continuare a parafrasare Dorian Gray: «There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about» (c’è solo una cosa al mondo peggiore di quella di cui si parla, ed è non parlarne…). O come direbbe la Ferragni, gli haters possono essere la fortuna di chiunque, perché ne fortificano in ogni caso l’immagine. Ricordo un noto calzaturificio che imitava la Nike, lo sapevano tutti, ne parlavano male tutti, ma faceva margini mostruosi…

I meccanismi dell’engagement hanno inevitabilmente governato anche la gestione della pandemia, la cui intera vicenda potrebbe da sola offrire lo spunto per un completo corso di comunicazione.

Nell’immaginario collettivo, infatti, la comunicazione adottata dal mainstream è stata talmente efficace che tutte le voci fuori dal coro finiscono ormai per passare da roba da circo Barnum, da intendersi nella sua ormai deteriore accezione, e più si accaniscono nel  tentativo di demolire l’informazione ufficiale più ne fortificano l’engagement.

I no-vax, che abbiano torto o ragione, stanno sicuramente sbagliando comunicazione, e se ritengono davvero di aver ragione sarebbe meglio che si facessero due domande, se non vogliono essere costantemente derisi.

Ma al di là del merito della questione e della forza persuasiva dell’Informazione e della Contro-informazione, quello su cui oggi io voglio riflettere con voi e che c’è qualcosa che accomuna i sostenitori del vaccino e i loro oppositori, ed è l’unica sulla quale vale la pena soffermarsi: è la paura di morire, che ci dà la misura di quanto siamo fragili e vanesi. Del resto, le strategie di comunicazione della propaganda, di cui volenti o nolenti siamo figli, ci hanno reso tutti dei Dorian Gray, talmente attaccati alla vita e desiderosi di immortalità da aver fatto addirittura della vecchiaia un tabù, al punto che photoshop, i filtri fotografici e la chirurgia estetica hanno finito col renderci davvero mostri da circo Barnum, protagonisti di piccole e meschine guerre quotidiane contro noi stessi e la nostra natura.

Basti pensare che mentre in Afghanistan in questo momento ci sono donne davvero in guerra per la vita e la libertà, da noi ci sono giornaliste che avendo fatto dell’immagine la loro competenza prevalente oggi si sentono minacciate dalle giovani che di filtri non ne hanno bisogno e magari sono pure più competenti…

Come dico da anni, lo spettacolo della vita ha ceduto il passo ad una vita da avanspettacolo, di cui purtroppo la vicenda covid ci sta offrendo una spaccato tutt’altro che esilarante…

(Immagini tratte dal web)

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[INTELLIGENZE VERDI]

Ci sono vari tipi di intelligenze.

Ci sono le intelligenze cosmiche, ci sono le intelligenze endoplanetarie, e poi ci sono le intelligenze dell’uomo, il quale ha creato le intelligenze artificiali.

L’intelligenza artificiale è un’opportunità, non è mica una sfiga.

Siamo l’unica specie del pianeta che (incredibile, ma davvero vero?) si è ‘evoluta’ senza avere un proprio habitat congeniale, e che per questo ha la necessità di ricorrere a strumenti artificiali per sopravvivere: non abbiamo corazza, non abbiamo pelliccia, dobbiamo ripararci dal sole e dal freddo, senza arnesi non mangiamo, i capelli ci rendono facile preda di qualsiasi rapace. In natura tutto si evolve fortificandosi, tranne noi umani, che abbiamo tutta l’aria di essere i veri extraterrestri del pianeta.

Ad ogni modo, come ci siamo inventati la zappa, ci siamo inventati il computer.

Potevamo farne a meno?

Boh! Ormai ce l’abbiamo e ce lo teniamo. E come per la zappa – che finché non la dai in testa a un altro individuo, è uno strumento che serve – lo stesso vale per il computer: tutto dipende dall’uso che facciamo degli strumenti che abbiamo a disposizione.

Il problema però è che non possiamo più continuare a devastare il pianeta che ci ospita con l’uso distorto delle intelligenze di cui siamo dotati. Ecco perché oggi servono quelle che io chiamo “intelligenze verdi”, capaci cioè di coniugare i frutti della terra con gli innegabili vantaggi del progresso tecnologico. Per riuscirci sono indispensabili la crescita personale e la comunicazione globale.

Non serve un partito politico, un movimento sociale o una fede religiosa, non ci sono valori da promuovere, non serve la ‘democrazia cristiana’ per un nuovo dio ‘green’, basta che ognuno di noi faccia il meglio per se stesso nei limiti invalicabili del rispetto altrui.

Basta dire «tu sei me» e il gioco è fatto.

(Immagini tratte dal web)

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[L’ERA DEI DRAGHI]

In una favola di Jean de La Fontaine si narra di una scimmia che per non scottarsi convince un gatto a toglierle le castagne dalla brace.

Finché aspetteremo l’arrivo di un ‘demiurgo’ a toglierci le castagne dal fuoco la nostra vita non cambierà mai: resteremo delle scimmie opportuniste, che espongono il gatto alla derisione.

Vale per il nostro destino personale come per quello della nostra Nazione. Il Governo Monti ne è testimone.

Aspettare il ‘Salvatore’, del resto, è il brutto vizio di chi non è capace di assumersi le proprie responsabilità e invoca soluzioni messianiche, quando poi, dalla ‘brace’ …toglie il solito Barabba. Questa è la cultura dell’impunito e del parassita.

Con Draghi sarà diverso? Staremo a vedere.

Certo, il cambio di prospettiva si impone. Del resto, non basta sostituire Conte con Draghi, se Draghi poi non è in grado di pianificare un nuovo modello di sviluppo capace di gettare le basi per un nuovo patto sociale.

Quando sono nato io sul pianeta eravamo due miliardi, oggi siamo quasi otto. Lo capisce chiunque che abbiamo bisogno di strumenti nuovi per nuove soluzioni. Gli strumenti ci sono, le soluzioni no.

Con il nostro modello di sviluppo del resto: non abbiamo sfamato i poveri, anzi; non abbiamo azzerato l’inquinamento, anzi; non abbiamo sconfitto lo stress, anzi; non abbiamo risanato i debiti, anzi; non abbiamo promosso la bellezza, anzi; non abbiamo agevolato la felicità, anzi.

Ecco perché bisogna voltare pagina. Ma per voltare pagina, bisogna che ciascuno di noi cominci a darsi da fare per assumersi le proprie responsabilità, smettendola di pensare che sia sempre colpa degli altri, per poi pretendere che qualcuno venga a toglierci le castagne dal fuoco…

In ogni Tradizione che si rispetti i Draghi rappresentano gli ostacoli da superare. È arrivato il momento che ognuno di noi sconfigga il proprio drago. E che l’Italia sconfigga il suo, che è stato la scelleratezza di mandare in Parlamento gli analfabeti del bene comune. Ecco perché dobbiamo tornare subito a votare, per dare ancora un senso alla Democrazia e dimostrare che in Parlamento si possono ancora mandare i migliori e non i peggiori.

P.S. Grisù era il draghetto che voleva fare il pompiere ma provocava nuovi incendi. A buon intenditor….

(Immagini tratte dal web)

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[IL FUTURO PRESENTE]

È di questi giorni la notizia che Microsoft avrebbe depositato il brevetto di un chatbot che in sostanza consentirebbe ai deepfake di replicare i comportamenti umani in modo così fedele da poterci consentire di interagire per sempre anche con chi non c’è più. Grazie ai sofisticatissimi deepfake la macchina può infatti ormai assumere le sembianze che vogliamo nel mondo cyber.

Siamo a un passo dai droidi con una coscienza autonoma? Sì e no.

Questa cosa, quelli della mia generazione, l’hanno già vista in Jeeg Robot d’acciaio, quando Hiroshi parlava al computer con suo padre, il defunto professor Shiba. Il futuro di allora, quindi, sarebbe più presente che mai, e parrebbe proprio che in quel futuro ci siamo entrati da quando abbiamo iniziato a mandare in scena nel web profili virtuali che interagiscono fra di loro sui social. Del resto è da quando l’uomo comunica via internet che delega costantemente una macchina a interagire con un’altra macchina dietro la quale c’è un altro uomo. Proprio come Hiroshi, all’interno di Jeeg, gli uomini fanno interagire le macchine. Oggi, secondo la notizia di Microsoft l’uomo sarebbe addirittura in grado di interagire con una coscienza artificiale alla quale possiamo dare le sembianze che vogliamo.

È un problema? No. Tra allarmismi e facili entusiasmi, infatti, il tema per l’uomo deve rimanere sempre lo stesso: non perdere il contatto con la propria, di coscienza.

Se la macchina può replicare l’uomo, è perchè anche l’uomo è programmato. Quindi il problema non è il programma in , ma il programma in te, e la soluzione è la coscienza di essere in un programma, come Tron, nel famoso film del 1982.

A breve una mia video chiacchierata con Edoardo Ferri sul tema.

Stay tuned.

(Immagini tratte dal web)

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[LA SCUOLA: IL SOLITO MATTONE]

I miei figli stanno facendo le scuole esattamente quarant’anni dopo di me. Imparano molto meno di quello che alla loro età ho imparato io. Non è che sanno meno di me: sanno meno di quello che dovrebbero sapere per i loro tempi. Alle elementari io andavo a scuola quattro ore al giorno e in quelle quattro ore mi trasmettevano tutti gli strumenti che mi sarebbero serviti nel mondo in cui avrei dovuto vivere. I bambini di oggi vanno a scuola otto ore al giorno e non sanno “leggere e scrivere”, perché sono i nuovi analfabeti dell’era digitale: non gli insegnano, infatti, ad acquisire dimestichezza con gli strumenti tecnologicamente avanzati che a breve saranno costretti ad usare per sempre. Questa scuola “ottocentesca” non è nemmeno un asilo: è un parcheggio per bambini a cui vogliono negare il futuro.

Come vado dicendo dal primo lockdown, il futuro, del resto, è cyber. Il futuro non è il mattone. In Italia ci sono 25 milioni di edifici, di cui la metà costruiti negli ultimi quarant’anni. Non servono più le case, serve la digitalizzazione. Il mattone è immobilismo mafioso. La Politica avrebbe potuto approfittare dell’emergenza sanitaria per modernizzare il Paese, partendo dalla scuola, e investendo proprio nella scuola in tecnologia e contenuti, spingendo sulla nuova formazione e introducendo semmai banchi “digitali”, e non sostituendo banchi obsoleti con banchi inutili. Invece hanno fatto ancora una volta all-in sul mattone, e hanno condannato i nostri figli sui banchi dell’immobilismo. Questi politici che “tagliano” le poltrone non sono i paladini del risparmio contro lo spreco, ma sono i bulli della democrazia e la parodia delle camicie nere e dell’olio di ricino, che gettano ombre inquietanti su quello che (non) stanno combinando.

(Fotografia di Giammatteo Rona, ogni diritto riservato)

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[LE CARIATIDI DELLA LIBERTÀ]

Che i diritti di ognuno di noi potessero essere compressi, non lo avremmo mai immaginato.
Quante volte abbiamo sentito urlare, anche con ferocia, «mai più fascismi!»?
Eppure, l’emergenza sanitaria in corso ci ha colpito proprio là dove pensavamo di essere più al sicuro: al cuore della libertà. Anche se, a conti fatti, sono ormai in tanti a rendersi conto di quanto i diritti di ciascuno fossero già da tempo relegati a mere enunciazioni di principio, buone solo per i testi universitari e i salotti della retorica…
Certo è che l’attuale emergenza sanitaria resta il banco di prova più difficile della tenuta del nostro modello di sviluppo, che infatti la prova non la supererà affatto.
L’attacco alla libertà che stiamo subendo, del resto, ci ha inchiodati davanti ad una ineluttabile realtà: con le enunciazioni di principio le persone non solo non mangiano, ma nemmeno sono felici.
Cos’è la democrazia? Cos’è la libertà?
Che ti frega se i parlamentari sono 1000 o 500 o 2000, se tanto non hai quello che vuoi?
«Intanto li mandiamo a casa» è la cultura di chi non ha prospettive…
Che ti frega di difendere il diritto al lavoro, se quello che hai è squallido e ti avvilisce?
Forse i più sfigati sono davvero quelli che il lavoro ce l’hanno: costretti a lavorare senza potersi lamentare…
Che ti frega delle enfatiche dichiarazioni di libertà, se poi, in concreto, le tue scelte sono condizionate da altri?
Insomma, se dopo ottant’anni malcontati di democrazia siamo ancora qui a parlare di libertà, è segno che qualcosa è andato storto.
E sono proprio gli interrogativi sulla “libertà” che testimoniano il disagio in cui ci siamo lasciati trascinare.
Altro che libertà, qui c’è un disperato bisogno di felicità!
Le persone, infatti, proprio durante i mesi di lockdown a libertà soppresse, hanno capito che l’unica cosa che valga la pena perseguire e difendere, non è la libertà, ma è la propria felicità. Quella “autentica”, però, non quella “illusoria” che ci hanno indotto tenacemente ad inseguire, anche quando di felicità non ne aveva nessun sapore.
Do una scorsa ai social e mi chiedo: davvero siete interessasti a sapere se cadrà il Governo? davvero vi accontentate di tifare per il vaccino?
Ma non vi siete accorti che in ogni caso indietro non possiamo più tornare?
Ditevi la verità: chi di voi vuole tornare alle “notti bianche”, ai carrelli sui piedi, alle code in tangenziale, e alla corsa contro il tempo? Chi vuole davvero tornare a lavorare come una bestia nella giungla giuridica e burocratica in cui ci eravamo infilati, per svenire la sera nel letto magari anestetizzato dalla piccola soddisfazione alcolica o amorosa?
Io, no.
Io vorrei che all’orizzonte spuntasse qualcuno con qualche idea, e non qualcuno pronto a prendere il posto di qualcun altro, ma comunque sempre senza idee e con la zucca vuota.
Io vorrei che qualcuno ci dicesse che mondo verrà, e non qualcuno che continua a promettermi ciecamente di tornare al mondo che – al netto degli svaghi smodati – non piaceva più a nessuno.
Io voglio un mondo green e sostenibile, voglio poter vivere dove voglio, voglio dedicare al lavoro qualche ora ogni giorno, non tutto il giorno e tutti i giorni, e poi voglio stare all’aperto con le persone con cui sto bene e a cui voglio bene, se e nella misura in cui mi va. Non voglio sentirmi obbligato a fare baldoria e shopping in modo compulsivo.
Quindi?
Quindi, chi lo dice che il mondo che verrà – e verrà, statene certi verrà – sarà peggio di questo? Con buona pace delle ‘cariatidi’ delle libertà, chiamate a reggere i ruderi di una democrazia che ormai ha fatto la sua epoca e può essere consegnata alla Storia.

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[CON DUE DITA GIÀ NEL FUTURO]

Negli ultimi giorni gli utenti social si sono interessati e preoccupati delle politiche di privacy delle varie piattaforme. Tutto nasce dopo che Trump è stato buttato fuori da alcuni social, e non è certo una coincidenza. Il tema ovviamente non è la privacy, visto che invocare la privacy sui social e come temere un guardone in una spiaggia di nudisti…Ma al di là delle battute il tema è che siamo alla vigilia della più epocale trasformazione economica e sociale degli ultimi secoli. Come scrivevo già tre anni fa (e Facebook mi è testimone) presto le nazioni non esisteranno più e verranno sostituite da queste piattaforme social che diventeranno il nostro nuovo ordinamento giuridico, la comunità all’interno della quale noi eserciteremo i nostri diritti e coltiveremo i nostri interessi economici e sociali, e all’interno della quale ci muoveremo, e all’interno della quale eserciteremo addirittura la nostra democrazia, eleggendo i nostri rappresentanti che saranno quelli deputati a stabilire le regole di vita virtuale all’interno delle piattaforme cyber. Saremo in tutto e per tutto cybercittadini. Questo interrogarsi degli utenti sul passaggio da un social all’altro in termini di privacy, quindi, è del tutto inutile: stanno andando infatti in scena le prove generali di chi sta organizzando il mondo nuovo, nel quale presto verremo chiamati a scegliere se essere cittadini di un social piuttosto che di un altro. I profili sui social diventeranno ufficiali e obbligatori come la carta d’identità, e chi non appartiene a un social sarà costretto ad appartenervi. Ovviamente non ci trovo nulla di sconvolgente, anzi, la tecnologia l’abbiamo introdotta, e l’abbiamo salutata con entusiasmo quando l’abbiamo introdotta, ne facciamo uso costante ormai da almeno vent’anni, per cui il passaggio era inevitabile, come quello dal carbone al petrolio. Sarà come partire di nuovo da Palos de la Frontera per lasciare l’Europa e costruire un mondo nuovo nelle Americhe. Va da sé che se non si approfitta della pandemia in corso per passare al mondo nuovo rischiamo il collasso planetario. È sotto gli occhi di tutti del resto il fatto che il mondo per come lo abbiamo conosciuto non poteva più funzionare. Lo dimostra il caos giuridico e burocratico all’interno del quale ormai nel cosiddetto mondo ‘reale’ sta diventando quasi impossibile muoversi, lavorare ed esprimersi. Si deve passare necessariamente dalla semplificazione della piattaforma social partendo proprio da elementi primitivi come i like. È inutile ridere ed è inutile piangere. Bisogna quindi cominciare a farsene una ragione del fatto che Biden vs Trump è stata probabilmente l’ultima elezione che abbiamo visto nella forma ‘reale’ e dobbiamo cominciare ad abituarci all’idea che probabilmente domani anche il Papa uscirà da un social. Soprattutto dobbiamo cominciare ad abituarci all’idea che il mondo reale per come lo abbiamo conosciuto non tornerà più. Anzi prima alziamo bandiera bianca e ci rendiamo disponibili tutti insieme a farci traghettare nel mondo nuovo, smettendola di lamentarci e di stracciarsi le vesti perché vogliamo tornare alla vita precedente (alla quale con le buone o con le cattive non ci faranno tornare) e prima finisce anche questa pandemia di isterismi collettivi. La tecnologia che abbiamo a disposizione oggi esisteva già vent’anni fa, ma voi dovete capire che vent’anni fa quelli che oggi sono anziani e che allora erano poco più che cinquantenni venivano da un mondo di matite di legno e non avevano nessuna intenzione di cambiare il loro metodo di lavoro. Quello che sto scrivendo ovviamente non è dietrologia, lo è per i passatisti, per gli addormentati, per gli ignoranti, e per quelli che si accontentano della birra con gli amici e delle tette in televisione o del calcio la domenica, e che si accontentano dell’editoriale sul quotidiano di carta, ma che se non cominciano ad interrogarsi davvero su quello che sta succedendo invece di perdere tempo sui bollettini dei contagi o sull’efficacia del vaccino, saranno spacciati nel nuovo mondo. ‘Negazionista’ del resto è un termine (improprio e sgradevole) che è stato inventato proprio da chi è negativo, da chi vede tutto negativo; i positivi e i positivisti sono i futuristi. L’Occidente vive ormai dentro una bolla di debito, è una gara fra debiti, non si capisce più chi produce cosa e chi lo paga e con cosa. La finanza di per sé è virtuale non ha più nulla che fare con l’economia reale e la politica da tempo. È tutto ormai una partita di giro di numeri e promesse, per cui non ci vedo nulla di sconvolgente nel fatto che anche le monete verranno presto sostituite (per modo di dire) dai like. Dopodiché il fatto che la gente che corre in vetrina si preoccupi della privacy e del controllo è una cosa che mi fa buttare in terra dal ridere. La gente non ha capito che ha ceduto la “nuova sovranità” quando ha ritirato la tessera dell’Esselunga dei punti fragola, perché è li che è iniziata l’era del controllo. La fragola al posto della mela è il vero peccato originale dell’era virtuale. Ad ogni modo restiamo ottimisti e salutiamo con gioia l’arrivo del mondo nuovo, visto che nel vecchio mondo – diciamocelo fuori dai denti – le cose ormai non funzionavano più da troppi anni.

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